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La spalla è l’articolazione più mobile del corpo, grazie alle dimensioni ridotte della cavità glenoidea rispetto alla testa omerale, che consente ampia libertà di movimento a discapito di una ridotta stabilità.
La lussazione gleno-omerale rientra nel quadro dell’instabilità della spalla assieme alla sublussazione e alla “patologia da iperlassità”. L’instabilità deriva da un episodio traumatico solitamente ad alta energia, in cui vengono lesi i legamenti gleno-omerali (in particolare, il legamento gleno-omerale inferiore), il labbro glenoideo con avulsione della capsula gleno-omerale (lesione di Bankart).
È importante conoscere la posizione dell’arto al momento del trauma per poter individuare la direzione della lussazione, che può essere:
Nel caso del primo episodio traumatico di lussazione di spalla l’immobilizzazione per tre settimane in un tutore può portare a una cicatrizzazione dei tessuti molli e ciò contribuisce a prevenire l’instabilità ricorrente, la complicanza più importante della lussazione (in particolare, soggetti con primo episodio di lussazione prima dei 20 anni presentano percentuale di recidive attorno al 90%). La scelta del tutore dipende dall’ortopedico.
Nei pazienti sportivi il trattamento elettivo è quello chirurgico perché, se operati in acuto, ci sono le migliori condizioni per la guarigione, che invece vengono meno quando la lesione è inveterata (per degenerazione del cercine e marcata retrazione capsulare, condizioni tipiche della instabilità cronica).
I pazienti che non presentano una lesione di Bankart rispondono meglio al trattamento riabilitativo.
In genere, la riduzione della lussazione, e cioè il riposizionamento della testa omerale nella sua cavità, viene effettuato con manovre specifiche e non sempre facili.
È importante sapere se si tratta del primo episodio o se ci sono stati precedenti traumatici, quale lavoro svolgi e che sport pratichi.
Per la conferma diagnostica il medico consiglierà l’esecuzione di una TAC o una RMN per stabilire il programma terapeutico più adeguato.
La riabilitazione dopo una lussazione della spalla svolge un ruolo determinante, sia perché il riutilizzo dell’arto superiore ha bisogno di un’articolazione libera e non dolente, sia perché la più frequente complicanza che si verifica dopo un episodio di lussazione è il permanere di un’instabilità che prima o poi darà luogo a una recidiva.
Inizialmente la spalla si presenterà rigida, poco mobile, molto dolente, con una muscolatura ipotrofica e, non ultimo, difesa da un paziente molto spaventato. Il nostro compito è quello di personalizzare il programma per raggiungere il delicato equilibrio che consente la maggior articolarità e contemporaneamente la maggior stabilità possibile.
La chirurgia può restituire il controllo all’articolazione scapolo-omerale, aumentando l’effetto contenitivo delle strutture deputate alla stabilità statica, come la capsula e il cercine glenoideo.
L’ortopedico verificherà da quanto tempo la spalla ha iniziato a dare dei problemi, in quale direzione si sposta, lo stile di vita che si conduce e lo sport praticato. Inoltre, valuterà i danni anatomici descritti dalla TAC o dalla RMN. Sulla base di tutte queste informazioni deciderà il tipo di intervento per il quale potrà seguire sia una procedura a cielo aperto che artroscopica.
Dopo l’intervento il dolore sarà piuttosto intenso, ma verrà controllato con i farmaci antidolorifici e l’applicazione di ghiaccio.
In seguito all’intervento in artroscopia, si dovrà portare un tutore per tre settimane. Alla sua rimozione di si potrà iniziare il percorso riabilitativo.
Il percorso riabilitativo attraversa cinque fasi:
– Prima fase: (4° settimana post operatoria)
Alla rimozione del tutore la spalla è generalmente già poco dolente, persistono solo contratture antalgiche ed edemi declivi. Si procede quindi con terapie fisiche e lavoro decontratturante sul cingolo scapolare, associato a mobilizzazioni attive ed attive/assistite. In questa fase il recupero si ottiene anche attraverso l’idrokinesiterapia dove si sollecita la spalla anche a 90° di elevazione e abduzione. I pazienti/atleti già in questa fase iniziano il lavoro aerobico di ricondizionamento atletico in acqua.
Il primo obiettivo da raggiungere in questa fase è ridare al paziente la piena articolarità della spalla per poter svolgere le attività della vita quotidiana (guidare, lavorare, ecc.). Questo obiettivo si raggiunge inserendo, oltre all’articolarità attiva, anche quella passiva svolta dal rieducatore, su tutte le direzioni. Verrà data maggior importanza allo stretching capsulare e al recupero delle rotazioni.
Ad articolarità completa si inizia a rinforzare tutto il cingolo scapolare, correggendo le eventuali discinesie presenti anche prima dell’intervento, rinforzando i muscoli del braccio, associando sempre lavori di stretching della capsula assistiti. Il ritorno all’attività sportiva non può prescindere in questa fase anche dal lavoro di core stability.
La spalla, che ormai ha un adeguato livello di forza, inizia a subire delle sollecitazioni su tutte le direzioni, a intensità crescente (palla a muro, superfici instabili, lanci, ecc.). In questa fase della riabilitazione si comincia il lavoro specifico senza l’uso degli attrezzi. Si esegue la propedeutica al campo con sedute di neuroplasticità in acqua. Viene eseguito un test di valutazione funzionale per monitorare lo stato di forma raggiunto.
La spalla ormai ha raggiunto il massimo recupero in ambiente protetto: dovendo ritrovare il gesto specifico, inizia la riabilitazione sul campo sportivo. Questa fase prevede una progressione che vede l’utilizzo di superfici instabili, lancio a diversi gradi con palle a diametro progressivo, inserimento di contrasti con sagome fisse, contrasti contro sagome in movimento, utilizzo dell’attrezzo sportivo (racchette, mazze da golf, ecc.) sia con vincoli e resistenze sia libero.
A questo punto sarà recuperata la completa gestualità e si potrà ricominciare a praticare qualsiasi sport.
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