La frattura avviene quando la forza applicata è di un’intensità tale da superare la resistenza dell’osso.
Diversi sono i modi per descrivere e classificare le fratture:
In base alla sede della frattura si potranno distinguere 3 diversi distretti:
Tale distinzione è importante sia dal punto di vista riabilitativo che dal punto di vista prognostico, in quanto nelle fratture del terzo prossimale della tibia può essere coinvolta l’articolazione del ginocchio, mentre in quelle del terzo distale di tibia e/o perone potrebbe essere coinvolta l’articolazione tibio-tarsica.
Queste fratture interessano pazienti che hanno subito un incedente stradale oppure un trauma durante la pratica sportiva.
I sintomi principali di una frattura di tibia e perone sono il dolore, che può essere presente e con localizzazione diversa a seconda della sede della frattura; in realtà può essere irradiato a tutta la gamba; il gonfiore, in genere diffuso a tutta la gamba; è generalmente presente limitazione funzionale ed ematoma. La frattura meta-diafisaria tibiale in genere non comporta grosse limitazione del range articolare.
La conferma diagnostica si avvale di RX convenzionali nelle proiezioni standard per valutare la formazione del callo osseo; ecografia (in quei casi in cui si sospetta una tendinopatia associata, o per il sospetto di una raccolta ematica organizzata che potrebbe rallentare o ostacolare il progressivo recupero). TAC o RMN solo per indagare problematiche specifiche, cosi come la EMG in quei casi in cui si sospetta una lesione o sofferenza nervosa.
Nel caso di fratture tibiali trattate conservativamente (apparecchio gessato) si può iniziare con il programma riabilitativo. Questi sono i casi, ad esempio, delle fratture del terzo distale se la caviglia è stabile, la frattura non è scomposta o è lievemente scomposta (meno di 2 mm).
La frattura del perone può essere associata a frattura della tibia (frattura biossea) oppure essere isolata.
Nelle fratture peroneali da trauma indiretto sono frequenti le lesioni della tibio-tarsica.
Nel caso di fratture composte ed isolate, con buon allineamento dei capi ossei ed assenza di lesioni legamentose può essere effettuato un trattamento conservativo con apparecchio gessato, seguito da almeno 3 mesi di rieducazione, completando tutte e 5 le fasi della riabilitazione.
Il trattamento delle fratture peroneali associate a fratture tibiali segue quanto detto per queste ultime.
Per tornare all’attività sportiva con potenzialità traumatica, sia nel caso di fratture composte che scomposte, occorre che il paziente si doti di tutore su misura in fibra di carbonio.
Dopo un anno di distanza la placca di sintesi può essere rimossa.
Il trattamento chirurgico si ha in caso di frattura del terzo medio, con l’utilizzo di un fissatore esterno; nel caso in cui la frattura sia distale e scomposta con interessamento della caviglia e relativa instabilità, vi durante questo tipo di procedura, i frammenti ossei vengono ricollocati nella loro posizione di origine (ridotti) e nel loro normale allineamento. Saranno poi tenuti insieme con viti speciali e piastre metalliche (placche in titanio) attaccati alla superficie esterna dell’osso.
Dopo il trattamento chirurgico è necessario un periodo riabilitativo, della durata, genericamente, di 4 mesi.
In caso invece di frattura scomposta del perone, questa si tratta con mezzi di sintesi, eseguita tramite placca e viti. Nel caso di associata lesione del legamento deltoideo della caviglia con apertura della pinza malleolare è opportuno un intervento di stabilizzazione articolare, seguito da riabilitazione post-chirurgica e recupero funzionale fino al ritorno allo sport.
Le fratture della tibia e del perone sono le fratture più frequenti, possono essere associate (entrambe) oppure isolate.
In base alla sede di frattura si possono distinguere 3 diversi distretti: terzo prossimale (fratture articolari), terzo medio (metadiafisarie), terzo distale (fratture articolari); tale distinzione è importante sia dal punto di vista riabilitativo che dal punto di vista prognostico.
Inoltre i pazienti possono essere trattati chirurgicamente (osteosintesi, applicazione di placche e viti) o semplicemente immobilizzati con apparecchio gessato; di tutto ciò si deve tenere conto nello stilare il programma rieducativo.
Il percorso riabilitativo prevede una prima fase di controllo del dolore e recupero dell’articolarità attiva e passiva dell’anca, del ginocchio e della caviglia, accompagnato da un blando rinforzo muscolare.
Raggiunto l’obiettivo si può iniziare l’attività aerobica e la fase del recupero della forza con esercizi per il gastrocnemio, tibiale anteriore e posteriore, soleo, flessori e estensori e intrinseci del piede, quadricipite, gluteo flessori e muscoli del core; contemporaneamente si possono iniziare esercitazioni di propriocettiva e equilibrio via via più complesse.
Fondamentale è concludere il percorso riabilitativo con l’ultima fase del campo con esercitazioni ad andature specifiche dello sport praticato e una ripresa graduale e sicura del movimento e del gesto sportivo.