Gruppi di lavoro separati tra ex positivi Covid e negativi asintomatici. Tamponi ogni quattro giorni. Sanificazione quotidiana degli ambienti di lavoro. Più l’idoneità sportiva da rilasciare a chi è stato contagiato. Più che un protocollo sembra un percorso di guerra quello stilato dalla Federazione medico sportiva italiana
(Fmai) per far ripartire lo sport. Ne abbiamo parlato con un medico sportivo.
“Siamo nelle mani di medici e scienziati dì acclarato valore. che hanno tutte le competenze necessarie per prendetr questo genere di decisioni. Ma confesso che se mi trovassi al loro posto non ci dormirei la notte". Lui è Pierpaolo Zunarelli, 58 anni. medico sportivo che per quattro anni ha lavorato nel Bologna e per otto è stato il responsabile dello staff sanitario della Fortitudo Pallacanestro. Oggi e il direttore sanitario dell’lsokinetlc Bologna.
Dottor Zunarelli, lo sport che frigge dalla voglia di ripartire chiede ai medici sportivi uno sforzo sovrumano.
“Capisco che il tema della ripresa, la cosiddetta Fase 2, sia rilevante per l’impatto economico. occupazionale, psicologico, sociale che avrebbe. Ma siamo ancora in una fase molto precoce, in cui le conoscenze su questo virus sono poche e spesso vengono messe in discussione".
Un percorso pieno di ostacoli.
“Decisamente sì. In linea di principio vedo abbastanza gestibile la fase della ripresa degli allenamenti, perché in fondo è un campo circoscritto e una comunità controllabile. Ma già affrontare un’altra squadra nel giorno della partita allarga la comunità, moltiplica le responsabilità e rende tutto meno controllabile. Senza contare un altro aspetto rilevante …".

Quale?
“Le diagnosi oggi non regalano certezze assolute. Ci sono casi di persone guarite, che a un mese di distanza dai tamponi negativi risultano di nuovo positive. Se succede all’interno di uno spogliatoio come ci si comporta?".
C’è anche il tema dell’idoneità sportiva. Sicuri che un atleta professionista che ha superato la malattia non si porti dietro delle “cicatrici" che ne compromettono la piena efficienza agonistica?
“GIi esiti cicatriziali restano dopo una polmonite severa: non mi risulta che gli atleti contagiati, e mi riferisco ai casi resti noti nel calcio, abbiano sviluppato polmoniti. Certo dovranno essere fatti dei controlli accurati: ma i protocolli servono proprio a questo. I sintomi lievi che i calciatori contagiati hanno avuto non mi fanno pensare a una compromissione dell’efficienza agonistica".
Come valuta l’idea del maxi-ritiro permanente nei mesi in cui i campionati recuporerebbero le partite?
“Sarebbe una scelta che incontrerebbe molte resistenze. Già stiamo tutti toccando con mano quanto sia complicato, ancorché indispensabile vivere questo periodo di quarantena. Il ritiro permanente, per quanto prigione dorata, per i calciatori sarebbe un prolungamento di questa quarantena, per giunta senza gli affetti famigliari. Non mi sembra una strategia di facile realizzazione".
Non è un quadro che inviti all’ottimismo.
Ci sono anche degli indicatori positivi. I contagi in effetti sembra che siano in calo, nelle prossime settimane si acquisiranno più informazioni sul virus e magari si individuerà anche un farmaco in grado di diminuire la letalità di questa malattia. Il tempo, insomma, può giocare a favore della ripresa dello sport".
Da medico sportivo, però resta un dogma: la salute prima di tutto.
“Il medico sportivo è prima di tutto un medico. A volte nello sport portiamo l’atleta al limite delle sue possibilità fisiche per chiedergli una performance. Ma personalmente se capissi di sottoporre una comunità di atleti a rischi sanitari cosi rilevanti come quelli che comporta questa malattia, deontologicamente mi asterrei".
Intervista a cura di Massimo Vitali in “Il Resto del Carlino"; martedì 7 Aprile 2020