Alla scoperta di Isokinetic, l’eccellenza in Italia e nel mondo per prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione dei traumi ortopedici e sportivi.
di Furio Zara
Quel giorno,Roby Baggio. “Se becco la traversa cosa vinco?”. La luce, Roby. Ma questo Claudio Carlotti non glielo dice. Lo pensa. Ma non glielo dice. Roby e un pallone, a centrocampo, Casteldebole. La traversa è quella linea orizzontale cinquanta e passa metri più in là. Roby è reduce dall’infortunio più serio della sua carriera, sta concludendo la rieducazione all’Isokinetic. Le sue ginocchia sono mappe del dolore. Vederlo vicino a un pallone è già un miracolo. “Allora, cosa vinco?”. Carlotti distribuisce le pettorine agli altri giocatori, fa finta di non guardare, poi dice: “Se colpisci la traversa pago pasticcini per tutti.” Roby fa due passi indietro, è una rincorsa. Intorno a lui tutti – fingendo di occuparsi d’altro – trattengono il fiato. E aspettano.
Isokinetic, cioè: l’eccellenza. Un modello. Non solo in Italia, nel mondo. Prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione dei traumi ortopedici e sportivi. A Bologna il cuore pulsante, la casa, l’inizio. Poi sedi a Londra (10.000mq nella più prestigiosa strada medica del mondo, al n.11 di Harley Street, l’attore Daniel Craig, 007, tra i pazienti), Milano, Roma, Torino, Rimini e Verona. All’Isokinetic ci lavorano più di 150 persone (una cinquantina solo a Bologna), i pazienti sono diecimila, poco meno della metà atleti, ma non tutti agonisti. Ventimila prestazioni al mese. Semplicemente: è una macchina che funziona. Ma sarebbe sleale parlare di fabbrica dei miracoli, qui i miracoli non si fanno, si studia invece, e si lavora.
All’origine del mondo Isokinetic c’è Stefano Della Villa, se volete sapere quando si è accesa la scintilla è a lui che dovete chiedere. “Il primo paziente è stato Claudio Ottoni, stopper del Bologna, classe 1960, mio coetaneo. Il dottor Gianni Nanni (oggi socio e responsabile sanitario del BFC) era il medico del Bologna, la nostra collaborazione è stat fluida fin da subito: insieme abbiamo aperto prima la piccola sede, nell’agosto del 1987. Di quei giorni ricordo l’entusiasmo, la familiarità che si era creata con i pazienti. La svolta arrivò quando Eraldo Pecci si curò da noi e ci ringraziò alla Domenica Sportiva, all’epoca condotta da Sandrto Ciotti. Fino ad allora nessuno ci conosceva, da quel giorno cambiò tutto. Ho sempre pensato che se uno esce da noi contento – e guarito – poi lo racconta agli altri e via così”.
Della Villa e i suoi collaboratori hanno richieste da tutto il mondo, da Miami al Quatar. Venite, spiegateci come si fa.
Prima sede fu un appartamentino di via Saffi. Primo congresso a Riva del Garda, anno di grazia 1992: 50 iscritti. Pochi, ma (molto) buoni. Al Camp Nou di Barcellona l’anno scorso ce n’erano oltre tremila. All’ultimo congresso organizzato dall’Isokinetic a Bologna sono arrivati medici da 92 paesi. Prossima tappa, lì dove il calcio ha trovato la sua sublimazione: Wembley. Non ne esistono al mondo, di congressi più grandi nell’ambito della medicina sportiva. Isokinetic – centro medico di eccellenza Fifa dal 2009 – potrebbe piantare una bandierina ovunque. “Ma siamo in una fase di ricerca scientifica, non imprenditoriale”, spiega Della Villa. Parole chiave: innovazione, tecnologia, biomeccanica (ti dice come e dove sbagli a fare un gesto), neuroscienza (te lo corregge. Il passaggio è: cervello, sistema di trasmissione, muscoli), medicina rigenerativa. E’ il futuro. O ci si arrende. O lo si anticipa. “Quando siamo partiti – spiega Della Villa – avevamo bisogno di esprimere il nostro modo di applicare la medicina allo sport”. Quel bisogno ha sempre indirizzato le scelte dell’Isokinetic. Da qui è passata mezza serie A. Campioni, onesti mestieranti, fuoriclasse, gregari. Avevano muscoli fragili, ginocchia a pezzi, identità da ricostruire. Baggio, ovviamente. Con il suo storico recupero: 37 giorni dopo l’operazione era in campo, 77 giorni dopo giocava la prima partita. E Signori. E Alberto Tomba, tra una discesa e l’altra, ogni volta zavorrato di gloria e medaglie. Avanti: Buffon, Toni, Zambrotta, Inzaghi, Cabrini. L’arbitro Rizzoli. Campioni di ieri – i pallavolari Bernardi e Lucchetta – e di oggi – i baskettari Belinelli e Gallinari. E poi: Rigadeu, Morandotti, Bonamico, Myers, Fucka. E ancora Fiorello, Morandi, Montezemolo, anche loro passati all’Isokinetic per un “tagliando”. Prima di Natale si è curato all’Isokinetic Simone Verdi, legato sentimentalmente alla famiglia Della Villa: è fidanzato con Laura, la figlia di Stefano. Storie, aneddoti, curiosità, ricordi. Tomas Locatelli che si addormentava facendo stretching, D’Angelo – ex capitano del Chievo oggi vice di Pippo Inzaghi – fiero della sua pancetta da ragioniere, Zanchi re delle barzalette, Toni che non si arrendeva mai, i sacrifici di Gigi Casiraghi, la simpatia di Zuculini. Appiah che arrivò zoppo e se ne andò saltellando verso i mondiali. Il marocchino Negrouz che in piscina non stava a galla. Thomas Doll, il centrocampista tedesco della Lazio, che durante la rieducazione trovò moglie (lavorava al centro commerciale dove Doll andava a mangiare), Floccari che a poco più di vent’anni si ruppe il crociato – giocava a Rimini – e venne consigliato al Bologna, ma i dirigenti di allora dissero no e lui in rossoblù ci finì lo stesso, tredici anni e molti gol dopo. Mudingayu che non ne aveva voglia e per tutta la carriera si è allenato al 40% delle sue possibilità.
Il “rieducatore” Claudio Carlotti – figura storica al’Isokinetic dal 1990 – spiega l’anatomia di un calciatore. “Ogni professionista è fatto di un motore, cioè il cuore, di una carrozzeria, il fisico, e di una centralina, la testa. Per essere campione tutte e tre le componenti devono andare a mille. Per dirtene uno: Baggio fece quel miracolo perché viveva per farlo. Con Roby siamo rimasti amici, viene spesso a trovarci, quelle settimane sono state fondamentali per la seconda parte della sua straordinaria carriera. Mi chiama VNC, Vento nei Capelli (ride), beh, chiaro che mi prende amabilmente per i fondelli. Per dirtene un altro: De Zerbi, che oggi allena il Sassuolo, venne da noi quando era un giocatore. Era un incubo, lo dico con tanto affetto: voleva sapere tutto, si aggiornava sui metodi, discuteva con i fisioterapisti, chiedeva ragioni e motivi ai medici, non si fidava, ribatteva colpo su colpo a qualsiaisi argomento. E non aveva paura di nessuno. Quanta personalità quel ragazzo.”
Nel 1987 Della Villa aveva ventisette anni, era medico a Rizzoli, stava facendo la scuola di specializzazione. Aveva la strada segnata, ma anche no. Basta alzare lo sguardo, guardarsi attorno, muoversi spinti dalla curiosità e dalla voglia di sapere di più sul tuo mestiere. Un neurologo, Luciano Merlini, gli parlò di una strana macchina. La macchina isocinetica: uno strumento che misurava la forza in movimento. Della Villa andò negli Stati Uniti. Studiò. Tornò. E comprò la macchina, con un investimento non da poco: 70 milioni delle vecchie lire. Ne è valsa la pena. “La medicina sportiva negli ultimi anni ha fatto passi da gigante, ma ci sono ancora tantissime sfide da affrontare e tantissimi territori da esplorare – spiega Della Villa – Negli anni in cui siamo partiti dopo l’intervento al ginocchio si metteva il gesso, poi lo rimuovevi, ti trovavi con un ginocchio rigido, ipotonico. La stessa rieducazione si faceva in uno stanzino chiuso, col fisioterapista e stop. Oggi tutto è cambiato. La prevenzione degli infortuni è la grande frontiera verso cui tendere. Ma richiede una rivoluzione culturale. Bisogna partire dai ragazzi, dai settori giovanili. E’ come lavarsi i denti tutti i giorni. Se lo dico ad un professionista mi può anche guardare storto, se lo consiglio a un ragazzino quello magari mi ascolta e alla fine diventa una buona abitudine”. Siamo fragili, siamo fortissimi. La natura dell’uomo è tutta qua. Nient’altro. Della Villa ne è consapevole. La sua esperienza – di “doctor turned patient” – è esemplare. “A 58 anni – pochi mesi fa – sono stato paziente anch’io dell’Isokinetic. Mi sono operato per tre ernie cervicali, mi sono scoperto vulnerabile, non riuscivo a tenere in mano una tazzina del caffè. Mi hanno saldato, nel collo ho sei viti e tre gabbiette metalliche, di fatto un unico “vertebrone” da giraffa. Scoprire la mia fragilità è stato anche il modo di apprezzare che ci sia qualcuno che ti prende per mano”.
Quel giorno del 2002, Baggio. Prese la rincorsa nel silenzio più assoluto. Colpì il pallone, quello disegnò un lunghissimo arcobaleno e alla fine della sua corsa andò a sbattere sulla traversa. Stock. Si voltarono tutti, ma si voltarono solo allora, perché fino a quel momento avevano avuto paura di guardare. Realizzarono tutti all’istante che di muscoli e ossa siamo fatti, ma anche di anima e tenacia, tniamo insieme le paure e il coraggio, li teniamo stretti per poi liberarli in un tiro che finisce dove vogliamo che finisca. Stock. Siamo fragilissimi, siamo fortissimi.
da “Guerin Sportivo”, n.2, Febbraio 2019, pp. 48-53