L’articolazione della spalla è costituita da tre ossa – omero, clavicola e scapola – connesse da muscoli, tendini e legamenti.
La testa omerale è una sfera ed è accolta parzialmente in una cavità chiamata glenoide che fa parte della scapola. Le rimane accostata grazie a un robusto manicotto fibroso rappresentato dalla capsula e all’azione stabilizzante dei potenti muscoli che la circondano.
È ricoperta in alto da una sporgenza ossea, proveniente dalla scapola, chiamata acromion, sotto la quale scorrono i tendini della cuffia dei rotatori, costituita dai muscoli sovraspinato, sottospinato, piccolo rotondo e sottoscapolare. I primi tre con azione prevalentemente abduttoria, l’ultimo con azione adduttoria dell’omero.
Anteriormente passano i due tendini del muscolo bicipite e del gran pettorale, l’intero complesso è completamente rivestito e protetto dal muscolo deltoide. Tutte queste strutture si muovono reciprocamente senza attriti grazie alla presenza di una borsa che, contenendo fluido oleoso, funziona come un cuscinetto.
La spalla è un’articolazione molto complessa la cui peculiarità è legata all’enorme libertà di movimento, permesso dalle dimensioni ridotte della glenoide rispetto alla testa omerale, che consente di portare la mano in quasi tutti i punti dello spazio.
La frattura dell’omero, che rappresenta il 5% delle fratture, interessa soprattutto soggetti dopo i 50 anni, in particolar modo di sesso femminile e si verifica generalmente a livello del collo chirurgico dell’omero.
In questa tipologia di pazienti il meccanismo traumatico è spesso una banale caduta (soprattutto in soggetti con osteoporosi), spesso con gomito esteso e mano atteggiata in difesa, mentre nei soggetti più giovani le cause più comuni sono i traumi violenti, le cadute dall’alto, gli incidenti stradali e i traumi sportivi.
La sintomatologia è caratterizzata da dolore intenso sopra l’area della lesione e immediata impotenza funzionale, con arco di movimento limitato su tutti i piani dello spazio e ridotta forza dei muscoli della spalla. Il dolore peggiora anche con minimi movimenti della spalla.
L’esame radiologico standard è rappresentato da una radiografia seguita a volte dalla TAC (utile soprattutto nei casi in cui il trattamento chirurgico sia l’impianto di una protesi).
Il tipo di trattamento dipende dalla composizione della frattura.
Nel caso di frattura composta dell’omero con modesta dislocazione, si ricorre a un trattamento di tipo conservativo con immobilizzazione della spalla mediante tutore per almeno quattro settimane, associato a un ciclo di riabilitazione.
La tipologia di trattamento chirurgico è variabile in base alla sede della frattura (piccola tuberosità dell’omero, grande tuberosità dell’omero, testa omerale e collo anatomico) e al numero di frammenti ossei (2,3,4 parti).
La frattura prossimale dell’omero si verifica principalmente in donne con osteoporosi (80% dei casi). Il trattamento è quasi sempre chirurgico e consiste nella stabilizzazione dei frammenti con fili di Kirshner o con chiodo di Rush, nella osteosintesi con placca e viti, oppure, nei pazienti con età superiore ai 40 anni con frattura in quattro parti, si esegue l’intervento di endoprotesi (protesi di spalla). Indipendentemente dal tipo di intervento effettuato è indispensabile la mobilizzazione precoce per prevenire la rigidità post-traumatica.
La mobilizzazione passiva viene iniziata al più presto, nell’arco libero da dolore. Il medico gestore mantiene un contatto continuo con il chirurgo, per stabilire insieme i tempi e le modalità del recupero articolare.
Per verificare il mantenimento dei rapporti e la stabilità della frattura sintetizzata vengono eseguiti frequenti controlli radiografici. È opportuno eseguire anche una risonanza magnetica per controllare le condizioni dell’osso della testa omerale che in caso di frattura prossimale dell’omero può andare incontro a necrosi.
Nel caso di frattura composta dell’omero con modesta dislocazione si ricorre a un trattamento di tipo conservativo con immobilizzazione della spalla mediante tutore per almeno quattro settimane, associato a un ciclo di riabilitazione, che può cominciare già dopo una settimana con esercizi pendolari e caute mobilizzazioni per diventare più intenso dopo tre settimane.
A partire dalla terza settimana dall’intervento possono essere messi in atto esercizi di cauta mobilizzazione assistita, privilegiando i movimenti in elevazione sul piano scapolare e facendo molta attenzione invece nelle rotazioni.
Dopo il controllo radiografico a trenta giorni, se l’ossificazione procede bene, il programma riabilitativo prevede il rinforzo di cuffia dei rotatori, stabilizzatori della scapola e propriocezione.
Andranno eseguiti quindi esercizi pendolari, esercizi di riattivazione degli stabilizzatori della scapola, massaggio del cingolo scapolare, soprattutto del trapezio superiore e dell’elevatore della scapola spesso contratti.
È molto utile il trattamento rieducativo in acqua che consente un maggiore rilassamento muscolare.
Dalla 6° settimana post-operatoria si può agire maggiormente sulla mobilizzazione, rispettando comunque il dolore e il completamento della cicatrizzazione dei tessuti; l’inserimento nel protocollo di esercizi attivi per la cuffia dei rotatori andrà concordato con il chirurgo onde evitare scomposizioni della frattura sempre possibili nei primi mesi dall’intervento.
Le fasi di recupero della coordinazione e della gestualità sportiva possono essere eseguite alternando sedute in palestra con sedute in campo, dove la coordinazione tra i movimenti del tronco e dell’arto superiore, e quindi della catena cinetica complessiva, vengono analizzati e rieducati al meglio.
Il periodo di trattamento richiede non meno di 3-4 mesi di terapie per il recupero dell’articolarità e della funzionalità.
La prognosi è di circa 3 mesi di terapie per il pieno recupero dell’articolarità e di 4 mesi per il ritorno allo sport in pazienti sportivi.